Il realismo politico non è in senso stretto una dottrina o una teoria, ma una prospettiva che ogni epoca fa sua e riplasma: il mondo greco con Tucidide, Machiavelli sull'onda della riscoperta umanistica della classicità, Hobbes in un nuovo modello razionalistico, fino ad autori come Hegel, Marx, Nietzsche, Weber, Schmitt, tutti riconducibili a questo paradigma di pensiero.
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La prima lezione del realismo è che non si può mai prescindere dalla considerazione degli interessi e dei moventi psicologici degli attori, visti entro un campo di tensioni nel quale sono forti o deboli, vincitori o vinti. All'ingresso del XXI secolo gli eventi restituiscono al realismo la sua maschera tragica. Se fino a ieri potevamo illuderci che il drago da abbattere fosse solo il potere economico dei mercati e delle imprese multinazionali, ora sappiamo che anche il potere militare è pronto a riprendersi la scena, riproducendo scenari di brutale imperialismo. Ad onta delle potenzialità civilizzatrici della globalizzazione, il sistema internazionale torna a rivelarsi segnato da una eterogeneità radicale e intrinsecamente conflittuale, come è sempre stato nella storia. Per contenere i rischi, anche la nuova epoca richiede diagnosi articolate e strategie di ampio respiro, non velleitarie illusioni. Nella consapevolezza che, di fronte alla soglia estrema dell'irrazionalità umana, anche il realismo è destinato a restare privo di argomenti.