In un contesto in cui anche in agricoltura l’innovazione occupa progressivamente spazi sempre più estesi, il presente lavoro intende verificare se l’impresa agricola possa assumere la qualifica di start-up o PMI innovativa.
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L’interrogativo apre una prospettiva di indagine che postula una rilettura di temi tradizionali del diritto agrario, quali il ruolo del sostegno pubblico e privato, il ricambio generazionale, le relazioni di filiera, il regime tributario, gli strumenti per proteggere l’innovazione, il rapporto con la pubblica amministrazione, il tutto da inquadrare entro la cornice funzionalistica della sostenibilità, senza che ciò naturalmente significhi mettere in discussione le ragioni di specialità della materia. Nell’ultimo periodo, diversi sono gli interventi dedicati a start-up e PMI innovative, tutti accomunati dallo scopo di incentivare l’innovazione e che, unitariamente letti, costituiscono uno statuto dell’impresa innovativa. Tuttavia, affinché ne possa beneficiare anche l’impresa agricola, è necessario trovare un coordinamento con un ben più complesso sistema normativo dedicato all’attività primaria, anch’esso di carattere speciale e multilivello. Alla base vi è l’esigenza di perseguire le finalità di politica agricola comune (art. 39 TFUE), nonché una considerazione dell’impresa agricola quale custode del territorio la cui attività è anche fonte di esternalità positive, fermo restando il suo posizionamento in quella articolata rete di relazioni di filiera che descrivono il mercato agroalimentare, sempre più regolamentato per una migliore tutela degli operatori, dei consumatori e dell’intera collettività. Uno studio sull’impresa agricola innovativa deve dunque guardare all’innovazione non quale valore in sé e per sé ma per il contributo che può dare agli obiettivi appena menzionati, i quali trovano un momento di riunificazione in quel principio di carattere trasversale di sviluppo sostenibile di cui all’art. 3 TUE.
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