In Viaggio d’inverno Attilio Bertolucci si fa cantore della propria città, Parma, della sua pianura e delle sue montagne: qui, come in un luogo privilegiato, l’esistenza in ogni sua forma è nobilitata, e memoria e presente s’incontrano fondendosi in nitidissime immagini.
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Con abilità quasi pittorica – frutto forse dell’insegnamento di Roberto Longhi, durante gli anni dell’università a Bologna – Bertolucci dipinge con vivida esattezza «l’ora lucente dopo il pasto il sole il vino», le «corolle vermiglie» delle rose, «l’erba cresciuta» e la «fina sabbia» delle «chiare rive». Il volume fu calorosamente accolto subito dopo la sua prima pubblicazione, nel 1971, dalle recensioni di Pasolini, Bo, Garboli, nonché da Giovanni Raboni, che riconobbe in Bertolucci «un modello – esemplare nel suo rigore, nel suo delicato oltranzismo – di coltivazione intensiva sino alla ossessione, perfezionistica sino alla morbosità» dei temi a lui più cari, continuamente rivisitati e variati in un lessico e una sintassi dal fascino imprevedibile.