Nell’antichità l’ancora sacra rappresenta l’estrema speranza dei naviganti, la terza e ultima ancora che si getta nell’infuriare della tempesta, nel disperato tentativo di salvare la nave. Anche il nome di Omero equivale spesso per gli autori antichi a un appiglio sicuro, un’autorità indiscussa a cui richiamarsi senza incertezze.
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Sinesio, diversamente, preferisce affrontare il suo viaggio letterario senza il peso di una tradizione ritenuta stereotipata. Se è vero infatti che il riferimento a Omero compare spesso in contesti programmatici, da cui emerge costante la ricerca di uno stile in equilibrio tra eleganza formale e profondità di contenuti, il modello non è passivamente accettato, ma, al contrario, discusso, ripensato, ricontestualizzato. Rileggere la presenza e le riprese del modello epico nell’epistolario e negli opuscoli diventa così un’occasione privilegiata per tratteggiare un modo di fare letteratura che, in piena età tardoantica, rielabora in modo originale i suoi modelli. La citazione non si inserisce a caso nella calibrata struttura prosastica sinesiana, è spesso giocata sul filo dell’ironia e, piegandosi alla situazione narrata e ai diversi registri, si carica di una molteplicità di significati dati per condivisi con il lettore. La trama linguistica rivela così la sua tessitura polifonica, in una composizione musiva di rimandi e allusioni. Nell’epistolario, i cui primi destinatari e fruitori sono gli amici ed ex condiscepoli, l’intertestualità permette di ricostruire un codice di significati, una sorta di ‘poetica di cerchia’ che ha le sue origini nella comune frequentazione della scuola di Alessandria. Negli opuscoli, le risorse dell’interpretazione allegorica introducono aspetti fondamentali dell’impianto teoretico sinesiano e consentono allo studioso di inquadrare i rapporti di parentela con l’esegesi filosofica tardoantica e con la successiva tradizione bizantina.