«Al passerotto dagli occhi verdi Ci siamo incontrati quindici anni fa, il giorno in cui mi sono trasferito nel dormitorio della New York University, nella stanza accanto alla tua. Siamo diventati subito amici. Ma mi piace pensare che fossimo qualcosa di più. All’epoca vivevamo di niente.
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Ci bastava conoscerci attraverso la musica (tu eri ossessionata da Jeff Buckley), la fotografia (non riuscivo a smettere di ritrarti) e le uscite a Washington Square Park. Ho imparato più cose su di me in quell’anno che nel resto della mia vita. Eppure, non so come, ci siamo persi. Io mi sono laureato e sono partito per il Sud America, per un lavoro con il National Geographic. Quando sono tornato, eri sparita. Poi non ti ho più rivista. Fino a un mese fa. Era mercoledì. Aspettavi il treno della linea F per Brooklyn, e ti dondolavi sui talloni sulla linea gialla della banchina. Non ti ho riconosciuta finché non è stato troppo tardi. Di nuovo. Hai detto il mio nome, l’ho letto sulle tue labbra. Dopo averti rincontrata, sono stato travolto da una marea di ricordi. Da quel giorno non faccio altro che chiedermi com’è la tua vita. Forse è una pazzia, ma ti andrebbe di bere qualcosa con me e raccontarmi cos’è successo negli ultimi quindici anni? Matt»