L’autore sente una voce rauca che lo chiama dal fondo di un vulcano spento. Quel suono, simile a un lamento, gli ricorda che c’è una crepa che squarcia l’Italia dalla Sicilia al Friuli: quella dei terremoti. Rumiz decide di seguirla, di entrare “con la lampada di Aladino” nel mondo del Minotauro.
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Un viaggio, il suo, nelle fondamenta del Paese, in un inferno di linee di faglia, crateri, fiumi sotterranei, miniere, catacombe e fondali marini; in un mondo senza stelle che accende le vibrazioni più intime degli italiani, una Terra Incognita che ci porta dritto negli inferi dell’Umano e apre vertiginosi itinerari in noi stessi. Ne nasce una storia segnata “da incursioni piratesche, litanie, scongiuri, frane, abbandoni e malaffare; un’epopea di naufragi, invasioni, inaudite capacità di rinascita e paure da fine del mondo”. Uno sterminato affresco, dove il Terribile della natura è una normalità contro la quale attrezzarsi e non un’emergenza su cui speculare; una storia visionaria che, da Selinunte al santuario di Oropa sulle Alpi, incontra l’ombra di Grandi Madri, sibille e madonne, e ha per baricentro Napoli, la metropoli più sotterranea, instabile, stratificata, magmatica e contemporaneamente più teatrale d’Europa. È lì che Rumiz, ascoltando scienziati, poeti, musicisti, antropologi e abitanti di quei luoghi, approfondisce un suo approccio “geologico” all’identità nazionale.